venerdì 27 gennaio 2012

"L'intero movimento della storia è quindi l'atto reale di generazione del comunismo-l'atto di nascita della sua esistenza empirica-; ma è anche per la sua coscienza pensante il movimento, compreso e reso cosciente, del suo divenire, mentre il comunismo non ancora giunto al proprio compimento cerca per sé una prova storica, una prova in quella situazione di fatto, traendola da singole forme storiche antitetiche alla proprietà privata; e questo scopo estrae singoli momenti del movimento storico... e li fissa come prove storiche della purezza del suo sangue; ma con ciò riesce proprio a dimostrare che la parte incomparabilmente più grande di questo movimento contraddice alle sue affermazioni e che, se mai esso sia qualche volta esistito, proprio il fatto di essere esistito nel passato è in contraddizione con la pretesa di valere come essenza." (K. Marx, Manoscritti economico-filosofici)

lunedì 23 gennaio 2012

Elogio dell'odio.

C'è una grande poesia che ha cantato l'odio, contro l'amore ovvero contro gli amori finti, ipocriti, falsamente sentimentali. Un vero amore in realtà non può che nutrirsi di odio, non può che essere contro questa società, contro i suoi ideali erotici artefatti, consolatori, puramente ludici, contro le sue vuote, apparenti raffinatezze. C'è una poesia di Sereni che si intitola "Scoperta dell'odio". E' il caso di rileggerla:

Qui stava il torto, qui l'inveterato errore:
credere che d'altro non vi fosse acquisto che d'amore.
Oh le frotte di maschere giulive
oh le comitive musicanti nei quartieri gentili...
Alla notte altre musiche rimanda
la terrazza più alta e di nuovo fiorita
si dilunga la strada fuori porta?
Ma venga, a ora tarda, venga un'ora
di vero fuoco un'ora tra me e voi,
ma scoppi infine la sacrosanta rissa,
maschere, e i vostri fini giochi
di deturpato amore: nell'esatto
modo mio di non dovuto
amore e dissipato, gente, vi brucerò.

sabato 14 gennaio 2012

Il Novecento di Clint


"J.Edgar" è un film storico. In esso infatti Clint Eastwood ci parla, ancora una volta, della fine dell'Impero americano, ma ripercorrendone la storia così come essa si è svolta soprattutto nei decenni della "guerra fredda". In questo senso, dopo "Flags of our fhathers" e lo splendido "Lettere da Iwo Jima", Clint Eastwood ha realizzato un altro "film di guerra", non meno terribile e tragico anche se certo meno cruento di quelli. In fondo nessuna vera storia di una potenza politica o di un impero può darsi se non dal punto di vista della sua fine, della sua morte, già avvenuta o nel momento di compiersi. Certo la storia degli Stati Uniti nel Novecento non è stata solo una vicenda di guerre e di conflitti cruenti: essa ha coinciso infatti con la storia di un paese che già dai tempi del viaggio in America di Alexis de Tocqueville, sembrava destinato a diventare la più "grande democrazia del mondo". In "Gran Torino" il regista americano ci aveva già parlato della fine dell'Impero americano ovvero della perdita del suo primato economico-produttivo in conseguenza della crisi e della fine dell'industria fordista.  In quel grande capolavoro, Eastwood sembrava infatti identificare proprio nell'etica e nella concezione "fordista" del lavoro, incarnate nel vecchio operaio americano Kowalski ormai in pensione, l'essenza stessa di quello che negli anni '30, l'autore dei "Quaderni del carcere" aveva chiamato "americanismo". E tuttavia l'etica lavorista e produttivista del protagonista di Gran Torino non esauriva per Eastwood l'identità e l'essenza dell'"americanismo".  Reduce della guerra di Corea, il vecchio Kowalski portava ancora dentro di sé, dentro la propria memoria storica e personale più profonda, i trumi di quel conflitto con il quale, come è noto, iniziava la guerra degli Stati Uniti contro il "comunismo". In questo senso si può dire che la riflessione di "J.Edgar" comincia proprio là dove finiva quella di "Gran Torino", proprio individuando nella lotta contro il comunismo non soltanto come è ovvio uno dei tratti essenziali dell'identità americana ma anche più in profondità il suo "lato oscuro". La stessa "democrazia" americana appare nel film di Eastwood incomprensibile fuori dal suo rapporto storico con il suo nemico. Checchè ne affermi la sua ideologia pacifista e universalista, la democrazia come ogni forma di ordinamento politico non sfugge alla logica polemica e conflittuale dell'opposizione tra "amico" e "nemico" nella quale come  è noto Schmitt ha individuato l'essenza stessa del conflitto politico. Il potere poliziesco di J.Edgar Hoover, il capo della Fbi, ha rappresentato uno dei pilastri della democrazia americana, sebbene ne abbia negato di fatto uno dei suoi  principi fondamentali, quello della libertà individuale. "Io distruggo tutto ciò che amo" dice J.Edgar, piangendo, ormai vecchio e morente, alla segretaria che lo ha fedelmente servito per tutta la sua vita. La sua ascesa al potere e la creazione di una potente struttura investigativa in grado di ricattare e mettere sotto scacco tutti gli altri poteri dello stato hanno finito per rendere la democrazia americana poco più che una maschera vuota.  Eastwood ci mostra così la natura tendenzialmente assolutistica e totalitaria della struttura del potere negli Stati Uniti. La guerra fredda appare in "J.Edgar" non tanto come la lotta tra il "mondo libero" e il "comunismo", quanto come lo scontro tra due "totalitarismi". Eastwood ce la racconta squarciando il velo ideologico e mistificante steso sempre su di essa dai presidenti degli Stati Uniti, i quali ricattati dal potere poliziesco di Hoover rivelano la loro vera natura. Per quanto "fredda" la guerra è pur sempre guerra. Cosa altro è la politica se non "guerra fredda", ovvero, secondo la celeberrima formula, "continuazione della guerra con altri mezzi". La lotta di emancipazione dei neri americani viene duramente contrastata, anche attraverso il ricorso a metodi infami ed illegali, da parte di Hoover, proprio in nome della lotta contro il pericolo rosso. Colpisce nel film l'assenza di un giudizio di netta condanna nei confronti  di tali metodi. Eppure il punto di vista di Eastwood è del tutto alieno da ogni forma di banale o puramente ideologico giustificazionismo, così come da ogni esaltazione dei fini tesa a contrapporre questi ultimi alla brutalità dei mezzi. In questo senso, l'opera di Eastwood ci appare anche come una grande riflessione sul potere della polizia come figura e insieme paradigma del potere in quanto tale. Impossibile non pensare al grande saggio sulla violenza di Walter Benjamin: nel potere della polizia si rivela la natura intrisecamente violenta del diritto ovvero di qualsivoglia potere. In esso infatti secondo il pensatore tedesco viene soppressa la distinzione tra la violenza che pone il diritto e quella che la conserva. Il potere della polizia, dice Benjamin, è "informe come la sua presenza sprettale, inafferabile e diffusa per ogni dove nella vita degli Stati civilizzati". E' in fondo proprio tale  natura "spettrale" del potere che Eastwood sottolinea anche con una fotografia in chiaroscuro, quasi in bianco e nero, a generare paura. Ma se il potere genera paura è perchè esso stesso nasce dalla paura. Sulla paura e l'odio nei confronti del comunismo si sono retti per buona parte del Novecento la democrazia americana. Che ne sarà allora dei valori e degli ideali di quest'ultima nonchè del suo dominio planetario, dopo la fine dell'Urss e della guerra fredda? Nella lotta contro il comunismo la democrazia americana ha certo finito  per tradire e così distruggere se stessa, ma paradossalmente proprio nella misura in cui realizzava la sua "missione storica", così bene rappresentata nel film attraverso l'"americanismo" esaltato e razzista di Hoover. Di qui il carattere aperto, problematico fino al paradosso del film di Eastwood: il Novecento è "finito" ma proprio per questo è più "attuale" che mai. Lo stesso richiamo al valore fondamentale dell’individuo così come  la contrapposizione del principio dell'amore contro quello dell'odio come fondamento della politica con cui si chiude il film, acquistano in tal senso un significato tragico al di là della loro apparenza consolatoria. Per tutto il film, infatti è lo stesso Eastwood ad averci raccontato, in modo superbo l’intima fragilità, gli abissi di paura e  insicurezza nascosti nell’inconscio più profondo di Hoover proprio come uomo e “individuo”: il suo morboso attaccamento alla madre, così come la sua repressa e negata omosessualità rivelano una sfera privata non meno oscura e inquietante del suo ruolo pubblico e politico. Tutta la vita di Hoover è stata peraltro la ricerca ostinata, ossessiva fino alla paranoia, della propria affermazione individuale, una affannosa, nevrotica aspirazione alla gloria personale.Una aspirazione  con la quale si intreccia in un nesso indissolubile il suo stesso patriottismo esasperato e fanatico e dalla quale discendono in fondo gli stessi  stessi eccessi totalitari del potere personale che egli è venuto via via, faticosamente e metodicamente costruendo lungo tutta la sua vita. Non c'è "totalitarismo" senza "culto della personalità". La politica è forse una fuga dal privato ma proprio per questo è in fondo indisgiungibile da esso. In ogni caso nessuna valorizzazione dell'individualità privata ci "salva" dalla politica, dalla tragicità del conflitto. Cosa sono stati i cosiddetti “totalitarismi” del Novecento se non la conseguenza di una irreparabile  rottura dei tradizionali confini tra “individuale” e “collettivo”, tra “individuo” e “massa”, ovvero una nuova, inquietante, inedita pervasività della sfera politica?  Perciò, la prospettiva di Eastwood è ben lontana da una banale “condanna” del Novecento così come da un semplicistico rigetto di quella che Gramsci chiamava la "politica totalitaria", magari in nome del primato "biopolitico" dell'individualità e della sua "nuda vita". Le contraddizioni, perfino le aporie tragiche che hanno dilaniato quel secolo grande e terribile sono ancora le nostre. Come sono ancora nostre e più attuali che mai, nell'epoca della cosidetta "globalizzazione" le istanze di libertà e di emancipazione che nel XX secolo hanno mosso per la prima volta nella storia, milioni e perfino miliardi di uomini e donne in tutto il mondo, da sempre sottoposti al dominio imperialistico dell'Occidente. La storia del movimento comunista del Novecento  si è svolta in larghissima parte intrecciandosi profondamente con quelle  istanze, esse stesse democratiche. Hoover lo aveva capito benissimo: la sua opposizione così dura e perfino crudele al movimento per l’emancipazione dei neri d’America, di cui è emblema nel film l'odio nei confronti di Martin Luther King, la sua identificazione nella lotta contro il razzismo di un pericolo comunista per la “democrazia” del suo paese sono in tal senso profondamente rivelatori del lato oscuro di quest’ultima ma in fondo di ogni democrazia e di ogni potere.




lunedì 9 gennaio 2012

Miseria della filosofia

Dunque, se si suppone che tutti i membri della società siano lavoratori immediati, lo scambio di quantità eguali di ore di lavoro non è possibile se non alla condizione che sia stato convenuto in anticipo il numero delle ore che sarà necessario impiegare nella produzione materiale. Ma una simile convenzione nega lo scambio individuale.
K. Marx, Miseria della filosofia.

La ginestra

Del ritornar ti vanti, / e procedere il chiami.
G. Leopardi, La ginestra, il fiore del deserto.