giovedì 15 dicembre 2011
Viaggio in America
Un'America scontata, già vista, eppure sorprendente quella che Sorrentino ci mostra nel suo ultimo film: un paese, ancora una volta metafora del viaggio, dell'andare oltre i confini, perfino, in questo caso, del confine che divide la vita dalla morte, i figli dai padri, il presente dal nostro passato, solo apparentemente passato. C'è la poesia freddamente malinconica dei suoi spazi meravigliosamente infiniti: un paese- continente dove si finisce per ritrovare se stessi proprio perdendovisi e dove tuttavia a forza di viaggiare alla fine si trova il posto che "deve" o "doveva" essere" il nostro, proprio il posto che avevamo sempre cercato Da quando il giovane Tocqueville sbarcò nelle terre del Nuovo Mondo, alla metà degli anni ' 30 del XIX secolo, per conoscere proprio in quegli enormi spazi, il nostro stesso futuro, l'America non ha cessato di essere la più straordinaria metafora del viaggio, almeno per noi Europei. Viaggio nello spazio e insieme nel tempo. A differenza tuttavia del giovane autore de "La democrazia in America", nel film di Sorrentino, la rock-star, certo non più giovane, ma già cinquantenne, negli Usa, non cerca più il futuro, ma piuttosto il passato, il suo passato, come quello della vecchia Europa dove stabilmente dimora. Tutta la sua vita sembra essersi svolta all'insegna della paura del futuro, condizionata dal timore di crescere e diventare adulto. Perciò il personaggio del film sembra vivere in una sorta di eterno presente: l'eterno presente dell'infanzia e dell'adolescenza. Non si muove nel tempo ma anche il movimento nello spazio lo impaurisce: di qui la sua esasperante lentezza, come anche la paura di volare. Un uomo dunque senza futuro ma anche senza passato: non sa niente del padre. Ha sposato una donna solo per trovare un' altra madre e così restare adoloscente senza il dovere di diventare a sua volta padre. Perciò il suo viaggio in America è in realtà un viaggio non nel futuro ma nel passato della vecchia Europa, nella "storia" vissuta dal padre rifiutato e mai veramente conosciuto. Nelle radici di quella storia cercherà e forse troverà se stesso, proprio accostandosi e indagando sulla pagina più nera e tragicamente enigmatica del Novecento: quella dello sterminio nazista degli ebrei. Non è dunque, si potrebbe dire il "sogno americano", tante volte cantato dal cinema e dalla musica rock nella quale si è formato, che cerca quanto l'"incubo europeo". Il passato, che non aveva mai voluto conoscere, non era in realtà passato. Perciò deve metterselo sulle spalle, "vendicando" il padre, troppo tardi conosciuto. Non più metafora del viaggio nel futuro, l'America diventa allora, paradossalmente, nel film di Sorrentino, metafora del ricordo, della memoria. Platonicamente, conoscere è ricordare: il "posto", il luogo dove sostare o dimorare per ritrovarci è quello che abbiamo sempre cercato. Non lo conosciamo se non riconoscendolo e riconoscendoci. Il tema non è svolto tuttavia nel film in modo banalmente consolatorio. Il "posto" che cercava e che alla fine troverà ai confini dell'America e del mondo, in un deserto di ghiaccio, non è quello dove viveva il padre. Nella stanza dove questi muore arriverà infatti troppo tardi, quando il padre cercato sarà già morto, destinato a restare chiuso per sempre nel suo "enigma" agli occhi del figlio ribelle. E' piuttosto nel torturatore nazista del padre che finirà per ritrovarsi e rispecchiarsi. Analogo sebbene diverso a quello del tedesco è infatti il senso di colpa che si è portato dentro tutta la vita. Solo conoscendo il padre attraverso il suo torturatore conoscerà se stesso. E' questo forse il senso della sua maschera, così simile alle antiche maschere tragiche: conoscersi significa conoscersi e riconoscersi colpevole, esattamente come le grandi figure della tragedia greca a partire da Edipo. Ma solo assumendo il peso di questa colpa, che è poi il peso della storia di cui siamo "figli", forse ce ne liberiamo, anche se "troppo tardi".
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